La Formazione in Italia
Formazione e produttività: correlazione positiva
Nel nostro Paese il contesto nel quale maturano e si intraprendono le attività formative è quello di un mercato del lavoro caratterizzato da un’alta percentuale di addetti a ruoli che richiedono bassa specializzazione e da una bassa presenza di profili con titoli di studio elevati. A ciò bisogna aggiungere un’attitudine culturale a sottovalutare l’importanza e l’efficacia delle iniziative di formazione ed aggiornamento, che non sembra aver subito modifiche sostanziali nel corso degli anni. Fatta eccezione per alcuni distretti settoriali che si sono dimostrati attenti al tema e vicini alle eccellenze dell’Europa Settentrionale per ciò che concerne l’aspetto quantitativo, il gap tra la realtà italiana e la media europea è ancora molto ampio.
Nel 2012 Isfol ha curato, per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il XII Rapporto sulla Formazione Continua, esaminando dati Istat, Eurostat ed Ocse.
Distinguendo tra le attività formative quelle formali e quelle non formali (la Classificazione delle attività di apprendimento adottata da Istat ed Eurostat prevede tre categorie: apprendimento formale, non formale e informale), ovvero tra quelle che rientrano nel national framework of qualifications e quelle che non vi rientrano, l’Italia si posiziona al di sotto della media europea per entrambe per numero di partecipanti tra i 25 ed i 64 anni, lasciandosi alle spalle solo Grecia e Turchia. I lavoratori a cui sono state somministrate iniziative di formazione nel nostro Paese sono infatti il 25% del totale, a fronte di un dato europeo del 33%. Se osserviamo la questione dal punto di vista delle imprese che ricorrono stabilmente alla leva formativa, la distanza è ancora più ampia. In Italia infatti solo un terzo delle imprese ha condotto attività di formazione, mentre la media UE si attesta attorno al 60%.